Serenate, lamenti e altri canti dell'anima
2 luglio 2021 - Il Giardino delle Esperidi Festival XVII (Lecco)
Le due performer, con le loro voci, il suono della viola, della dulsetta e del tamburo, si fanno veicolo per condividere il cantare nella natura con la sua atmosfera poetica, regalando al pubblico un’esperienza intima e raffinata. Il repertorio dei canti polifonici attraversa l’universo di diverse culture tradizionali dell’area italiana, est europea e asiatica. I testi dei canti sono vere e proprie poesie, sono i canti dell’anima, della presenza. Sono la "poesia anonima" dei nostri antenati, la radice da cui siamo scaturiti e vibrano nelle nostre fibre più profonde.
RASSEGNA STAMPA
Due voci femminili. Una viola. Una dulsetta. Un tamburo. E poi cascate. Ruscelli. Campanacci di mucche. Muri di chiesette abbandonate. Stalle dismesse. Falò nella notte. Valli. Boschi di abeti. Cani lontani. Poiane. Vento. Una pratica sottile e profonda di ascolto dei luoghi e degli elementi tesa a cercare un accordo (ancora: sottile e profondo) tra le voci, le storie e immagini che esse ri-creano attraverso il canto e i luoghi che esse abitano, compartecipi di un accadimento che si costituisce in e di pienezza e fugacità.
Vien da pensare a Gilles Deleuze, al suo saggio I mediatori del 1985: parla di sport, il celebre filosofo, distinguendo quelli in cui ciò che importa risiede principalmente nell’atleta (es: il lancio del peso) da quelli in cui lo sportivo è chiamato ad accordarsi a una forza altra e più grande (es: il deltaplano). Una concreta, esattissima pratica dell’attenzione. Per vincere una gara. Per far meglio risuonare, vivere, un canto. Le due cant-autrici sono bravissime, ça va sans dire. Ma anche qualcosa in più: sono attentissime. Mettono la loro sapienza al servizio di un ascolto più largo, umanissimo e sacrale: «Dio, perso nella creazione» ricorda Sista Bramini in un breve testo pubblicato nelle ultime pagine del libretto «attraverso il canto umano ricorda se stesso». Michele Pascarella – Gagarin orbite culturali