La metamorfosi nel teatro vivente | l’Ovidio post-antropocentrico di Manuela Infante e di O Thiasos TeatroNatura | di Laura Budriesi in Culture Teatrali On Line
«L’idea della metamorfosi, del labile confine umano/animale, pervade la storia della letteratura drammatica; dagli enigmatici cori animali delle commedie greche, di cui restano testimonianze nei titoli di molte opere perdute (Rothwell, 2007), alle superstiti commedie aristofanee (Le Rane, Gli Uccelli, Le Vespe), transitando per Shakespeare del Sogno di una notte di mezza estate (1595 ca.) fino a Il Rinoceronte di Ionesco (1959), per citare soltanto alcuni esempi paradigmatici. Inoltre, significativamente, fabulae allegoriche ispirate alle Metamorfosi di Ovidio ritornano in alcune forme teatrali di età umanistica all’alba della reinvenzione del teatro e permangono per secoli nel teatro moderno (Budriesi, 2020).
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Le metamorfosi della ninfa Io collega idealmente il progetto di Manuela Infante a quello di O Thiasos TeatroNatura. Il TeatroNatura di Sista Bramini ha un rapporto di lunga durata con la mitologia ovidiana a cui ha dedicato spettacoli come Miti d’acqua (2003) e Miti di stelle (2007), perché la continuità tra umano, animale e divino «quel fluire dionisiaco della vita che prende forma poetica sublime nella metamorfosi attrae fatalmente la corporeità dinamica teatrale e la sua vocazione a farsi transito tra forme e figurazioni diverse». In notevole consonanza con la lettura di Infante di un “Ovidio postumano”, anche Bramini legge le metamorfosi femminili in piante e animali per sfuggire alla violenza e allo stupro come un grido disperato di libertà delle ninfe; se quelle trasformazioni, per una cultura antropocentrica, sarebbero null’altro che forme di regressione, per quella postumana indicano, al contrario, un’apertura dell’umano alla continuità ontologica con tutti i viventi. Del resto il postumanesimo contemporaneo ci parla della storia contemporanea di una speciazione, ovvero di una evoluzione cruciale per la nostra specie, nel necessario percorso di consapevolezza della posizione marginale dell’umano e della profonda connessione di tutte le vite, così come dell’impermanenza delle forme che già risuonava in Ovidio: «noi stessi siamo infinite cose: neonati, vecchi, sani, malati, animali, lavoratori, addirittura morti» (Caffo, 2017: 38).
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Bramini legge il percorso di Io come viaggio iniziatico che approda alla metamorfosi conclusiva nella dea Iside; ella infatti, fuggendo per tutta la terra inseguita da un tafano, approda infine in Egitto e qui «uscendo dalla sua pelle bovina come da una placenta diventa Iside, la dea iniziatrice a una visione misterica del mondo in cui vita vegetale, divina, animale e umana sono parte di uno stesso inarrestabile flusso vivente». La metamorfosi della ninfa Io (2010), come tutti gli spettacoli di O Thiasos TeatroNatura, è pensato per un luogo aperto, come si legge nelle note di regia che accompagnano il testo: testo e interpretazioni devono essere modulati secondo la ricerca di O Thiasos TeatroNatura, cioè in ascolto e in continuità d’attenzione con il paesaggio vivo circostante. I luoghi naturali o agresti in cui si snoda lo spettacolo itinerante andranno scelti con cura, per far scoprire al pubblico scorci e punti di vista inediti e nello stesso tempo per rendere partecipe quella scenografia vivente della drammaturgia e viceversa. Estetica delle atmosfere naturali – quella di Sista Bramini – che si trasforma potentemente in etica: essere in natura senza la pretesa di possederla, è frutto di una consapevolezza motoria più che visiva, che va di pari passo con un training che mira al risveglio dell’animalità dell’attrice, al cervello arcaico, rettiliano (MacLean, 1984) e alla conseguente re-sponsabilità dello spettatore: la ri-creazione di uno specifico corpo-memoria che è un corpo ecologico. Sista Bramini, infatti, ispirata dal Teatro delle Sorgenti di Grotowski e dall’“ecologia della mente” di Gregory Bateson (1977), ha avviato una ricerca più che ventennale sui moduli arcaici della comunicazione umana, in particolar modo quelli artistico-performativi che si connettono per più aspetti alla nostra natura animale. L’intento è la ricerca di strutture tipiche del movimento animale, della qualità animale del corpo umano, mediante un approccio sensoriale. Si vedano gli esperimenti di quadrupedia di Camilla Dell’Agnola, attrice-cantante del gruppo, quando, ad esempio, nel Parco naturale del Gran Paradiso ha sperimentato l’essere un animale d’alta quota risalendo a quattro zampe un ripido canalone roccioso alla ricerca di un risveglio corporeo. Un’immaginazione che nasce dal corpo, un incontro fluido tra natura esterna e natura interna: l’animalità è qualcosa da agire non da raggiungere attraverso il linguaggio [11]. Negli anni il TeatroNatura ha sviluppato una possibilità poetica e pre-espressiva per abitare il luogo naturale cercando di risvegliare la natura animale delle attrici, alterando il ritmo del tempo ordinario, compiendo movimenti che generano fatica, cercando di rendere più flessibile la spina dorsale, alla ricerca di quegli impulsi organici, ricordi di un’altra epoca, dell’infanzia personale e forse di quella dell’umanità. Inoltre si ricerca la risonanza tra i corpi e le narrazioni orali – intendendo per oralità quella condizione cognitiva ed epistemologica che fa dell’oralità un sapere incorporato (Havelock, 1973) – quindi nel tentativo di riattivare quelle memorie particolari depositate in noi che sono memorie del corpo in azione (Deriu, 2012).»
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Fotografia di Francesco Galli